L’esposizione affianca a una selezione di opere relative alla prima produzione di Alfonso Talotta – individuabile nei Tracciati Urbani del 1979-80 –, altre più recenti, comprendenti i cicli: Dittici (2011), Compenetrazioni (2013-2014) e Ombra di Luce (2015).
L’artista, nato a Viterbo nel 1957 e diplomatosi in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma, ha goduto sin dagli anni Ottanta dell’interesse di importanti critici e curatori. Basti ricordare le parole che spese per lui Filiberto Menna, segnalandolo sul Catalogo Nazionale dell’Arte Moderna della Mondadori (1988): «Nella sua opera il processo di riduzione, che caratterizza da alcuni anni una delle situazioni artistiche più significative nel panorama italiano (la situazione che ho definito in diverse occasioni come astrazione povera), trova una delle definizioni più radicali e nello stesso tempo ricche di valori pittorici. La superficie del quadro viene ricondotta a una definizione monocroma, iscritta dentro il nero, fin quasi ad abolire ogni articolazione interna o, meglio, affidandola a differenze segniche minimali, a tracce bianche ottenute lasciando direttamente in vista la tela sottostante. Ne deriva un contrappunto in cui gioca un ruolo importante l’ambiguità tra figura e sfondo».