Lo spazio sacro. Una dimensione completamente nuova dove l’artista, Marco Angelini, circonda lo spettatore con una serie di oggetti intrisi di simbologie, che hanno perso la loro funzionalità nel quotidiano, a favore, invece, di contenuti spirituali più forti che ne hanno alterato la loro essenza.
La mostra, curata da Raffaella Salato e realizzata in collaborazione con Valentina Luzi della Galleria Emmeotto, espone le opere di Marco Angelini realizzate tra il 2013 e il 2018. Ciascun oggetto affronta una ricerca che si sposta dal livello semantico e quello dell’uso quotidiano, catturando le diverse interpretazioni che si celano dietro ogni manufatto.
Anche lo spazio in cui essi si trovano si trasforma e assume una pluralità di significati, dando forma a due dimensioni ben distinte: la prima, la più evidente, quella del MLAC (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea) dove gli oggetti assumono il ruolo di opere d’arte, mentre la seconda, lo spazio come luogo sacro, tramite gli oggetti legati alle rispettive religioni, che trasformano di conseguenza questo luogo in una chiesa, una sinagoga, una moschea e via dicendo.
Ma sono proprio questi oggetti ad avere un ruolo centrale poiché vengono strappati dalla loro sacralità e tornano al loro stato iniziale, privo di qualsiasi simbologia religiosa nella loro universalità e in grado di comunicare tra di loro, senza barriere linguistiche o religiose.
Ognuno di essi ha un legame con il tema del sacro sotto le sue molteplici forme e sembianze. Dalla sacralità religiosa alla sacralità interiore rappresentata dal simbolo più emblematico: il cuore.
Questo elemento è presente più volte all’interno della mostra con materiali e stili diversi, spesso interagisce con gli altri elementi, sottolineando ancora una volta come i significati che la società attribuisce ai singoli oggetti, siano comunque legati ad una profondità interiore solo esternamente e culturalmente diversa. Il cuore appare fortemente legato alla memoria e alla forza; due caratteri ricorrenti nelle opere d’arte dell’artista, che si manifestano sia nei materiali che nello stile. Nel primo esempio vengono utilizzati dei materiali che appartengono alla memoria dell’artista, come nel caso di alcune opere dove vengono applicati dei negativi fotografici all’interno della tela, mentre nel secondo l’elemento di forza viene richiamato dalla forma e dalle dimensioni del cuore che ricordano quelle di un pugno.
La ricerca di Marco Angelini, però, non si limita solo a questo, ma affronta numerose tematiche che derivano dalla sua esperienza personale, dalla sua formazione sociologica fino ai viaggi all’estero, da dove provengono molti dei materiali utilizzati per le sue opere d’arte.
Tutte le opere si presentano allo spettatore senza didascalie o titoli, per volontà dell’artista, per esortare il pubblico ad osservare e comunicare con l’opera d’arte, assegnando un nome o un’identità agli oggetti esposti, conferendo un ruolo diverso da quello che solitamente sono obbligati a dare. In questo modo il dialogo tra l’artista e il pubblico è costante e l’oggetto sacro, come l’opera d’arte, perde questo carattere di superiorità, piegandosi alle esigenze dell’uomo o dello spettatore.
È dunque l’arte in grado di “nobilitare” in qualche modo gli oggetti riportandoli al loro grado zero senza preconcetti o stereotipi? La risposta è si.