OLTRE LA PAROLA. Mirella Bentivoglio dalla Collezione Garrera | Intervista alle curatrici

Dal 7 al 31 ottobre il MLAC ha ospitato OLTRE LA PAROLA – Mirella Bentivoglio dalla Collezione Garrera: un’esposizione di circa cinquanta opere provenienti dalla Collezione Garrera concentrata sull’attività verbovisiva di Mirella Bentivgolio. Particolare attenzione è stata rivolta al processo, al modus operandi di questa artista che era anche una grande intellettuale: così Ada De Pirro e Angelandreina Rorro hanno deciso di impostare la loro attività curatoriale per questa occasione della quale ci hanno parlato in maniera più approfondita.

È la prima volta che curate una mostra in uno spazio del genere? Cosa ne pensate del MLAC e quali sono, secondo voi, gli aspetti da sottolineare di questo spazio?
Sì è la prima volta in uno spazio universitario e al MLAC, che comunque già conoscevamo essendo state prima studentesse della Sapienza e poi frequentatrici del Museo Laboratorio con diversi ruoli (dottorande, visitatrici, moderatrici, relatrici di convegni e incontri).
È un luogo importante per la sua storia di luogo della contemporaneità in relazione con gli studenti e con gli artisti e lo abbiamo scelto anche per questo. Per Mirella Bentivoglio ci è sembrato poi particolarmente adatto, oltre che per la sua peculiarità laboratoriale anche perché lo spazio del MLAC ha una sua elegante freddezza razionalista che ben si sposa con la scelta operata da noi curatrici nel vasto repertorio di opere di questa importante artista, selezionando nella quasi esaustiva collezione Garrera opere degli anni 60 e 70, eminentemente bidimensionali e grafiche.

L’idea di questa mostra nasce da una rete di incontri di cui potremmo dire che Mirella Bentivoglio è stata il fulcro. Com’è stato lavorare su un’artista che avete conosciuto personalmente e quale credete sia l’apporto che questa conoscenza ha dato alla vostra attività curatoriale per questa occasione?
La mostra nasce dall’esperienza personale di noi curatrici, ma anche dei collezionisti, con l’artista. Per fare una mostra su un artista vivente o da poco scomparso è fondamentale averlo conosciuto. Aver potuto parlare con Mirella, ascoltarla raccontarsi e raccontare il suo lavoro in profondità, ci ha dato la consapevolezza della sua genialità intellettuale e artistica. E a Mirella Bentivoglio artista abbiamo voluto dedicare questa mostra, restituendole un po’ di quanto ha dato a noi e a tutto il sistema dell’arte anche attraverso la sua grande lezione di artista-curatrice di livello internazionale.

Il processo nella produzione artistica ha guadagnato notevole importanza durante il corso del Novecento. Nel quaderno di mostra si può leggere che questa esposizione “intende sviscerare e mostrare il modus operandi dell’artista”.
Dal materiale su cui avete lavorato per questa mostra quali potete dire che siano gli elementi emergenti del modus operandi di Mirella Bentivoglio?
In effetti più che di processo si è trattato proprio del tentativo di far comprendere il modo con il quale l’artista ha lavorato, dalla prima idea all’opera finita, nelle sue diverse declinazioni inserendo in mostra anche piccoli foglietti volanti dove appuntava le sue idee. Spesso Mirella partiva da una parola o una frase scritte a mano o dattiloscritte, per poi elaborarle graficamente e semanticamente, scoprendone per prima le varie possibili declinazioni visive e le possibili interpretazioni. La posizione delle lettere sul supporto, la loro dimensione e la scelta del carattere sono diventate significante e significato per lo spettatore che ha avuto e ha l’occasione di leggere l’opera a più livelli, apprezzandone l’aspetto estetico e impegnandosi nella ricerca di quello più celato.

Dell’attività verbovisiva di Mirella Bentivoglio, sulla quale questa esposizione si concentra, quali pensate che siano gli aspetti più rilevanti? Quali caratteristiche uniche possono essere individuate nel lavoro di questa artista? Quali sono, insomma, quei tratti della sua opera che la distinguono da altri che hanno operato in questo campo?
L’aspetto più rilevante del lavoro di Mirella Bentivoglio è stato la sua consapevolezza intellettuale. Tutte le operazioni culturali e artistiche di Mirella sono state guidate da una singolare lucidità di pensiero e da una precisa volontà di scardinare e decostruire il linguaggio come espressione della cultura maschile per cambiare “l’immagine del mondo che produce dolore”. Un altro aspetto importante è sicuramente l’approccio dapprima puramente poetico dell’artista al mondo del linguaggio, che poi si avvicina con naturalezza alle sperimentazioni della Poesia Concreta e poi Visiva, che anche in Italia si andavano svolgendo negli anni Sessanta e Settanta.
Mirella Bentivoglio ha lavorato sempre in maniera autonoma e molto personale nel campo “verbovisuale” come preferiva dire, aggiungendo sempre un livello culturale molto profondo che si nutriva di opere filosofiche e anche esoteriche, pur senza mai esplicitare troppo questo aspetto, ma sempre lasciando intuire livelli profondi di lettura delle sue opere, di spiazzante semplicità ma di grande complessità al tempo stesso. Altro tratto distintivo del suo lavoro è, al pari del suo lavoro curatoriale e teorico, quello di aver rappresentato, al di là delle ideologie e attraverso la manipolazione dei linguaggi verbali (e non), una profonda coscienza del femminile dolorosamente consapevole della condizione umana, oltre che di donna.

Guardando alla vostra attività di curatela e di ricerca, è notevole l’interesse per la parola e per il linguaggio: cosa vi affascina di questa tendenza dell’arte rispetto ad altre?
Per entrambe lo studio dell’arte al femminile è stato uno stimolo per approfondire il campo della sperimentazione verbovisiva che ha visto molte artiste donne impegnate a trovare nella manipolazione del linguaggio una concreta possibilità di espressione. Negli anni Sessanta e Settanta artiste come Mirella Bentivoglio sono diventate protagoniste di una ricerca che le ha viste, da prospettive autonome o collettive, alla pari in un mondo ancora troppo pervicacemente maschile. Il rapporto con “l’alfabeto” era per Mirella naturalmente di ambito femminile, sia come trasmissione materna ai propri figli, sia perché è sempre stato coltivato nel segreto della forma del diario intimo, pratica da sempre appannaggio delle donne.

Scrivendo di questa mostra avete riflettuto su coppie di parole, concetti, perlopiù contrari ma non solo: assenza/presenza; pieno/vuoto; parola/silenzio; femminile/androgino; singolo/doppio; spazialità/tridimensionalità… Se per questa mostra doveste scegliere insieme una sola coppia di parole quale sarebbe?
A questo riguardo noi curatrici abbiamo due preferenze distinte. Per me – Ada De Pirro – la coppia che meglio esprime il senso di questa particolare mostra di opere di Mirella Bentivoglio è Parola/Silenzio, in quanto la manipolazione sulla parola e sul linguaggio, la sua scomposizione e ricomposizione, giocata sempre sul crinale tra senso e nonsenso, è una pratica che inevitabilmente conduce sull’abisso del vuoto e del silenzio. Come noto Mirella apprezzava molto il “primo esempio a scrittura asemantica”, il liber mutus di Arturo Martini Contemplazioni (1918), che esprime “un dubbio profondo e una radicale rinuncia nei confronti della parola e dell’immagine, lanciando un messaggio d’allarme sulla possibilità stessa dell’espressione e della comunicazione”.

Per me – Angela Rorro – il binomio più significativo è Assenza/Presenza. L’assente è un’opera cardine della mostra, dove è stata esposta nelle sue nelle sue quattro versioni, e in un certo senso è riassuntiva e simbolica del suo percorso creativo. In questo importante lavoro la “L” e l’apostrofo ci pongono in attesa di un sostantivo o di un aggettivo, ma anche di qualcosa che è sotto i nostri occhi e che non vediamo, e soprattutto di una presenza che manca e che è proprio quella dell’artista.
Mirella, che in questa mostra fatta a distanza di due anni e mezzo dalla sua morte ci è davvero mancata, con la sua assenza ci invita a riflettere – ora più che mai – sul nostro presente. Lei che ha sempre giocato con lettere/forma (la O, la E) analizzandole, mutilandole e trasformandole, con L’assente e soprattutto con la forza delle sue opere, ci ha lasciato testimonianze e indicazioni di ricerca da proseguire