Intervista a Fabrizio Pizzuto, curatore della mostra di Antonello Bulgini, Animi assopiti che non riescono a prendere sonno. Lavori su carta (2002-2006), visitabile al MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dal 13 febbraio al 7 marzo 2019
Fabrizio Pizzuto è scrittore, curatore di mostre e critico d’arte siciliano, nonché docente della RUFA (Rome University of Fine Arts).
Fabrizio ci potresti raccontare come è nata questa mostra di disegni inediti?
Dalla necessità di mostrare una parte di Antonello non ancora abbastanza conosciuta. Insieme alla compagna dell’artista, abbiamo lavorato sulla scelta dei disegni e abbiamo proposto una visione a Claudio Zambianchi. Antonello non componeva le serie tutte insieme, le stesse tipologie di lavori risultano realizzati dal 2002 al 2006 in modo discontinuo. Non abbiamo facilità di datazione di ogni singolo disegno così abbiamo deciso di segnalare soltanto l’arco in cui sono stati prodotti.
Qual è stata la tua idea curatoriale?
Ho deciso di non allestire da solo ma con la collaborazione sia delle studentesse della RUFA che degli studenti di Storia dell’Arte della Sapienza. L’allestimento infatti prevede che i disegni oltre ad essere dei lavori siano anche composizioni, cioè parti di un nuovo lavoro. Antonello era eclettico e avrebbe, chissà, probabilmente ragionato in modo semi-installativo. Ragionando in maniera statica non avrei ottenuto quello che volevo. Ho capito che affidarne la gestione a 5 mani diverse avrebbe conferito maggiore freschezza, diversità e originalità.
Carlotta De Martino ha gestito: Il bambino nascosto (2000/2006)
Laura Capriglia ha gestito: Composizione Gigante (2005)
Magali May Petrocchi ha gestito: I Volti (2002/2003)
Antonella Romano ha gestito: I Giganti (2004/2006)
Gli studenti di Storia dell’Arte dell’Università la Sapienza di Roma, che stanno svolgendo tirocinio presso il MLAC, hanno gestito Lavori Misti (2005/2006)
Il titolo della mostra Animi assopiti che non riescono a prendere sonno da dove origina?
Il titolo non ce l’avevamo e abbiamo fatto “alla Bulgini”. La compagna mi ha detto che nell’ultimo periodo gli piaceva molto leggere Pessoa. Allora le ho suggerito di aprire il libro a caso ed è venuta fuori la frase che ha dato il titolo alla mostra.
Perché lo ritieni appropriato per questa mostra?
Il titolo allude all’irrequietezza, all’esuberanza, ma anche alla pacatezza. Antonello Bulgini era un pittore costantemente alla ricerca. Alcune opere sembrano portare verso questo costante rapporto tra “assopito” e irrequieto. È come se a volte usasse perfino la ferita per cercarne la bellezza e la pace.
Nell’arte del XX e XXI secolo Bulgini dove può essere collocato?
Difficilmente classificabile. Appartiene forse alla destrutturazione. Più che nella pittura dal vero lo trovi nella pittura della pittura. La maniera in cui usa la citazione però è molto diversa da quella che potrebbe essere, non so… la transavanguardia, ad esempio. In alcuni casi l’operazione (di destrutturazione, appunto) è netta. Somiglia più a quello che Quentin Tarantino fa col vecchio cinema (Django, Unglorious Bastards). Non è mai lui ad andare verso Goya o Velázquez, bensì sono loro ad essere re-interpretati nel suo campo pittorico
Quali critici e studiosi d’arte hanno parlato dell’artista?
Claudio Libero Pisano, Hanne Weskott, Gianluca Marziani, tra quelli più interessanti.
Quali sono i riferimenti delle sue opere?
Direi mai direttamente la realtà vista, sono sempre luoghi mentali. Molto spesso bisogna capirlo alla luce della stessa storia dell’arte.
Come mai Bulgini ha scelto riferimenti artistici così diversi tra loro per le sue opere? Da un lato Beato Angelico e Antonello da Messina, artisti quattrocenteschi; dall’altro Diego Velázquez, ritrattista spagnolo del Seicento; il Francisco Goya più visionario; fino ad arrivare a Bacon, pittore irlandese del XX secolo…
Non saprei. Mi viene da dire che sono tutti artisti legati da sentimenti forti e tutti profondamente pittorici. Vuoi per l’uso della luce o della figura, spesso drammaticamente in scena.
Quale storia si nasconde dietro a ogni serie?
Bambino nascosto: diciamo che parla dell’impossibilità di comunicare e di agire.
Lavori Misti su carta: credo siano esigenze… momento espressivo personale che andava di pari passo con quello pittorico.
Giganti: è una serie pensata dopo il viaggio di Antonello in Spagna. Vede i dipinti di Goya e li “porta”, per così dire, nel proprio campo compositivo.
Composizione gigante: viene anche questa dal viaggio a Barcellona, da Goya. Apparterrebbe ai Giganti. Vediamo frammenti: un volto di uomo, forse un pugnale, un viso femminile, piedi. Credo che, a livello visivo, il senso esatto dell’azione scenica potrebbe non importare più.
Ricordo che durante l’opening della mostra ci hai raccontato che la poetica di Bulgini è quella di un artista che in Germania era considerato troppo lirico e in Italia troppo espressivo, trovi che questo possa essere considerato un punto di forza per l’artista? Perché?
Era una battuta che faceva lui. Punto di forza, decisamente sì, perché si tratta di avere personalità. Antonello è uno spirito del suo tempo. Del mondo italiano e di quello tedesco che lo aveva ospitato ne ha fatto un taglio personale.
Come mai un’artista nato nel 1960 a Taranto sceglie di diplomarsi all’Accademia di Belle Arti di Monaco?
Non lo so. Forse perché Monaco come Berlino erano e sono luoghi importanti per la pittura. Un artista innamorato della pittura come Bulgini in Germania poteva trovare grandi stimoli.
Il suo maestro principale all’Accademia di Monaco è stato Sean Scully, pittore statunitense di origine irlandese, connotato da uno stile geometrico astratto, in cosa può averlo influenzato?
Suppongo nella libertà, dato che questa discendenza non appare molto. Questo, di solito, è anche merito dell’intelligenza del maestro. Sean Scully lo avrà sicuramente accompagnato negli strumenti forniti: la conoscenza dei toni, della luce, dei colori.
Quando arriva a Roma? Come vi siete conosciuti? Hai accennato che avete collaborato insieme. Puoi raccontarci come è nata la vostra amicizia?
Ho conosciuto Antonello quando viveva ancora a Monaco. Io lavoravo con Sauro Radicchi, l’allestitore delle mostre di FONDAZIONE VOLUME! e in quell’ambiente incontravo spesso Alessandro, il fratello, anch’egli artista.
Quando Bulgini nel 2005 è venuto a vivere a Roma, prese studio al Quadraro, un quartiere di Roma nel quale da lì a poco, insieme a lui e a un gruppo di altri artisti, abbiamo creato il CONDOTTO C, uno spazio indipendente che abbiamo gestito insieme per 2 anni (2008-2010). Non tutti lo sanno, ma io e lui avevamo in cantiere di aprire e gestire da soli un nuovo spazio ed eravamo praticamente già pronti con parte del programma.
Che tipo di artista era?
Era un pittore. Sempre. Anche quando faceva le installazioni era un pittore. Anche se usava un oggetto era un pittore. Era un artista dalla profonda visione e conoscenza pittorica. Qualsiasi media avesse usato sarebbe sempre stato un pittore. È l’occhio che cammina dentro la tela che lo delinea.
Aveva amici artisti italiani e internazionali?
Certo. In una bella mostra al Museo CIAC di Genazzano, curata da me insieme a Claudio Libero Pisano sono presenti diversi omaggi a lui resi dai suoi amici di Roma, Livorno e Monaco. I più interessanti tra quelli meno noti a Roma, perché legati alla sua produzione tedesca, sono un artista tailandese, Somyot Hananuntasuk, e un artista bulgaro, Valio Tchenkov.
La mostra alla Sapienza si concentra sui disegni dell’ultimo periodo dell’artista, riusciamo sinteticamente a periodizzare gli sviluppi della sua opera?
Beh, no, non con facilità. Spesso tutto avveniva contemporaneamente. Antonello iniziava, abbandonava, posava e riprendeva i lavori. Diciamo che di sicuro le installazioni sono più relative all’ultimo periodo romano. Abbiamo avuto problemi ad archiviare i lavori perché molti lavori esposti non esistono più, magari sono stati distrutti, modificati, riproposti con un nuovo titolo.
Perché hai scelto di non usare le didascalie?
Perché questi lavori non hanno titoli. Noi li abbiamo ripescati. Se li avesse esposti Antonello probabilmente avrebbe trovato i titoli sul momento. Anche i bellissimi titoli usati per i quadri non è detto che li avesse dati mentre li realizzava. Nella ricerca compiuta per fare l’archivio a volte trovavamo due o tre titoli diversi nelle diverse pubblicazioni o nelle diverse mostre. Antonello era completamente libero da queste cose, dal fare una serie, o dall’avere un titolo definitivo, per lui era tutto un fluire.
Chi conserva le opere di Bulgini?
La compagna.
Esistono suoi progetti scritti o opere incompiute nel campo dell’arte da cui si può evincere quali fossero i traguardi che voleva raggiungere?
Non che io sappia, non scriveva molto. L’ultimo quadro è incompiuto, realizzato su una sorta di tenda rossa. Non ha titolo. Era un ritratto di Brad Pitt, coi capelli da Beatles, una strana incursione nel mondo delle star, insolita. Ma non saprei dire se sarebbe rimasta una parentesi.
Quanto sei rimasto soddisfatto di questa mostra?
Ti dico la verità: 10. Soprattutto per la serietà e professionalità che ho visto negli studenti di Storia dell’Arte della Sapienza e nelle mie studentesse della RUFA. È stato fatto un lavoro serio, rispettoso e affettuoso da persone che non lo hanno conosciuto.
Un ringraziamento particolare ovviamente va a Claudio Zambianchi e a Ilaria Schiaffini. Credo che stiano facendo un buon lavoro e spero che il MLAC diventi sempre più luogo di dibattito, di pensieri e di conoscenza.