In occasione di Szymborska e il mondo-collage, Gaia Fiorentino ha intervistato Luigi Marinelli, professore ordinario di Lingua e Letteratura polacca presso Sapienza Università di Roma e co-curatore della mostra insieme ad Ania Jagiełło. L’esposizione, organizzata in collaborazione con l’Istituto Polacco di Roma, resterà aperta fino al 20 dicembre 2023.
GF: Per cercare di capire meglio la produzione di queste cartoline-collage, vorrei chiedere quale è il rapporto che la poetessa Wisława Szymborska aveva con l’immagine e, in generale, con le arti figurative?
LM: Ci sono molti quadri nella poesia di Szymborska; si va dalla pittura toscana del Due e Trecento, all’Avanguardia. Poi c’è la pittura fiamminga, che è molto importante per la poetessa, perché evidentemente trova una strana affinità fra la sua arte, il suo amore per il dettaglio e il gusto di certi pittori fiamminghi. C’è una brevissima poesia di Szymborska dedicata alla Lattaia di Jan Vermeer, che si intitola proprio Vermeer, in cui più o meno dice: “finché quella donna continuerà a versare latte in quella scodella, il Mondo non merita la fine del mondo”. Questi versi testimoniano la sua sensibilità verso la pittura, verso certa pittura in particolare, la pittura descrittiva o meglio la pittura descrittivo-simbolica.
Un’altra poesia molto famosa di Szymborska si intitola Le due scimmie di Bruegel e richiama il quadro dell’artista Pieter Bruegel il Vecchio Due scimmie incatenate. Nell’olio è raffigurata una finestra, dentro la finestra queste due scimmie incatenate e fuori dalla finestra un paesaggio, un paesaggio marino, quindi un paesaggio sostanzialmente luminoso, un paesaggio di libertà. La visione di questo quadro ricorda a Szymborska il suo esame di maturità e soprattutto l’esame di storia, la poetessa sostiene che le due scimmie incatenate le ricordano che cos’è la storia umana.
La presenza e l’importanza dell’ekphrasis nella poesia di Szymborska è indubbia. Una cosa che va detta a proposito è che Szymborska si era legata molto, nell’ultima parte della vita di lui, a Kornel Filipowicz, il quale aveva avuto come prima moglie una delle più grandi pittrici polacche dell’avanguardia, Maria Jarema. Morta nel ‘58, quindi relativamente giovane, Maria Jarema è stata una delle fondatrici del Gruppo di Cracovia insieme a Tadeusz Kantor e altri importanti pittori e uomini di arte e spettacolo della Polonia del dopoguerra. L’ambiente di Cracovia, frequentato anche da Szymborska, era un po’ questo; la pittura è stata sicuramente per la poetessa una delle arti di riferimento insieme a un’altra arte visiva che, sappiamo essere forse la sua preferita: la nona Musa, il cinema. Nelle sue poesie spesso troviamo un andamento visivo-cinematografico, sono dei racconti in cui anche l’elemento visivo della scena narrata è molto importante.
GF: La figura della scimmia, che ha citato prima, ritorna molto anche nei suoi collage. Come vediamo in alcune opere esposte, ci sono ritagli di scimmie, accompagnate da frasi di ironia o di auguri. La scelta di questo animale è legata a qualche evento in particolare?
LM: Da una parte la scimmia si lega a un fatto biografico, dall’altra è un tema fondamentale per capire Szymborska, connesso a una mentalità e a una forma mentis. La scimmia è l’antenata dell’uomo, ed è quindi parte della storia dell’evoluzione che ha per Szymborska un interesse e un valore come storia della formazione di un mondo che è bello perché è vario. La scimmia assomiglia all’uomo, ma non lo è, “come un parente povero che di noi tutto sa” – scrive una poesia del primo periodo intitolata per l’appunto La scimmia.
Il fatto biografico si lega invece alla relazione con un suo compagno che era solito regalarle scimmiette di vario tipo, e che lei chiamava “lo scimmione”. Ci sono poi fotografie di Szymborska allo zoo che abbraccia le scimmie, e così è diventato un amore appassionato sia per l’animale in quanto tale, come essere vivente, sia per la scimmia, come qualcosa che rappresenta uno dei gradini dell’evoluzione naturale.
GF: Molto interessante questo incontro tra biografia, arte e visione del mondo. Spostando l’attenzione in modo più ravvicinato verso i suoi collage, è stato più volte sottolineato come queste cartoline fossero legate, nella realizzazione e nella destinazione, alla sua sfera privata e per molto tempo trascurate dalla critica. Che valore hanno, secondo lei, questi collage per la poetica di Szymborska?
LM: In realtà, Szymborska ha sempre disegnato, fin da piccola. All’epoca la chiamavano Ichna, da Maria, Marichna. Il suo vero nome è infatti Maria Wisława, poi a un certo punto ha scelto di utilizzare il secondo nome. Questi disegni d’infanzia, dalle scuole elementari se non prima, rivelano una capacità notevole, un talento che però è stato un po’ sottovalutato.
Questi collage, è vero, sono nati come fatti quasi privati, come suo divertissement. Credo che i primi nascano alla fine degli anni Sessanta nelle lettere d’amore che si scambiava con Kornel Filipowicz. Dopo, ci deve aver preso gusto e, piano piano, soprattutto per occasioni specifiche, ha iniziato a comporre questi collage per i suoi amici più cari. Apparentemente sembrano fatti personali, poi si scopre che sottendono una concezione della composizione di tipo pittorico. Rivelano un’ironia, che è fondamento della sua scrittura, e al tempo stesso un tratto caratterizzante nella concezione dei collage. Una delle cose che questa esposizione evidenzia, analogamente alla grande mostra allestita quest’anno a Genova al Museo di Arte Contemporanea di Villa Croce, è l’affinità delle poetiche utilizzate da Szymborska, la relazione fra il collage e il modo compositivo della scrittura, che procede alle volte per accumulazione, per taglio e ricucitura di elementi che già esistevano. Qui vanno citati i taccuini di Szymborska, quadernini vecchi e neri, in cui annotava pensieri, frasi, immagini e poi li usava per comporre i suoi testi. La stessa modalità si ritrova nei collage che hanno in più l’elemento immediatamente visivo. Spesso, anzi molto spesso, sono dei collage scherzosi ma anche pensosi, che fanno vedere la realtà da un punto di vista inaspettato. Così entra in gioco la questione del caso, il ritaglio di immagini da riviste, enciclopedie e vecchi libri, che lei chiamava “ritaglini”. La ricomposizione, poi, nasce da un’idea che può avvenire anche all’improvviso. Szymborska rimane sé stessa come scrittrice e come autrice di collage, ed è erede di tutta una grande tradizione novecentesca che sicuramente risale all’avanguardia, in particolare all’avanguardia surrealista, che, guarda caso, stava dietro Il Gruppo di Cracovia e alcuni pittori polacchi, conosciuti anche personalmente da Szymborska, fra cui Tadeusz Kantor, uno dei grandi artefici dell’arte polacca contemporanea.
GF: La matrice surrealista presente nelle cartoline-collage di Szymborska si può ritrovare, dunque, sia nell’ironia, sia nell’uso del disegno minuto, sia nell’idea del caso che sottende le composizioni? Michał Rusinek, collaboratore della poetessa e attualmente presidente della Fondazione Szymborska, descrive il modo in cui la poetessa realizzava i suoi collage: «doveva essere sola nel suo appartamento che veniva cosparso di immagini a terra. Dava prima, dunque, l’occasione al caso di fare il suo lavoro ma poi era necessario riorganizzare i materiali»…
LM: Il caso e l’organizzazione nascono dal caos. Il caos è rappresentato visivamente dalla casa di Szymborska con il pavimento riempito di questi pezzetti di carta colorata. Quello è il caos, al quale lei, come creatrice, anche in vista del gusto di quelli che sarebbero diventati i destinatari, assegna una direzione. Il caso piano piano diventa destino, i destinatari della cartolina sono coloro verso i quali il caso della creazione diventa destino, non a caso si parla di “destinatario”. In una poesia molto famosa di Szymborska, lei dice che due persone che credono di innamorarsi a prima vista, in realtà non lo sanno se è davvero a prima a vista. Magari si erano incontrati da bambini una volta al parco, o magari dentro una porta girevole, e così il caso gioca con queste persone fino a che non diventa destino. Pensano allora che sia stato “amore a prima vista”, ma chi lo può sapere? Szymborska dice alla fine di questa poesia: “il libro degli eventi è sempre aperto a metà”. Così anche nei collage, secondo me, il libro degli eventi è il gioco del taglia e cuci, o meglio del taglia e incolla, che è un gioco di continua ricomposizione. E quindi il libro degli eventi, in questo caso degli eventi artistici dei collage, è sempre aperto, si possono sempre fare infiniti collage anche su un unico argomento.
GF: Molto spesso le immagini ritagliate che incolla sulle cartoline per comporre i collage sono accompagnate da scritte, auguri, giochi di parole, frasi di ironia. Che rapporto c’è tra testo e immagine? Anche quello può essere un rapporto continuamente ricomposto in base a come lo spettatore si avvicina alle cartoline-collage?
LM: Assolutamente. La bellezza, sia della poesia come dei collage di Szymborska, è la loro ambiguità semantica. Possiamo vedere lo stesso collage o leggere la stessa poesia in molteplici modi; alle volte possiamo vedere quanto dietro, o davanti piuttosto, ai collage ci possa essere una doppia, tripla e quadrupla interpretazione delle stesse immagini. Questo perché il gioco del caso, appunto, si trasforma in qualcos’altro a seconda anche dei destinatari, e il destinatario in questo momento siamo noi, non sono più i destinatari originari della cartolina.
GF: Visto che abbiamo citato la poesia, il cinema e l’arte figurativa, mi chiedevo quale fosse il rapporto di Szymborska con la fotografia che ritroviamo spesso nelle immagini dei collage.
LM: Szymborska aveva un rapporto folle con la fotografia, direi un grande amore. Amava le fotografie di situazioni strane. Nonostante fosse una persona molto schiva e poco egocentrica, amava fare fotografie bizzarre di sé stessa, spesso si faceva fotografare sotto i cartelli di città con nomi strani. Per esempio, ce n’è una bellissima sotto il cartello di Neanderthal, e qui torniamo al tema della evoluzione naturale, oppure sotto il cartello di Corleone: era fissata con Il Padrino e Al Pacino era il suo attore preferito. La fotografia, del resto, è ben presente anche nella poesia di Szymborska: una dei suoi componimenti più sconvolgenti è Fotografia dell’11 settembre, in cui parla di quello scatto terribile dei disperati che si lanciarono giù dalle Torri Gemelle, che ci lascia ammutoliti, e conclude: “Solo due cose posso fare per loro – / descrivere quel volo / e non aggiungere l’ultima frase”.
GF: L’idea di farsi fotografare in modi particolari e bizzarri, richiama ancora una volta il Surrealismo, c’è un’affinità secondo lei?
LM: Sì, penso che ritorni anche qui questo elemento surreale che c’è spesso in Szymborska. L’idea del sogno è molto importante per la sua poesia e forse anche per i suoi collage, la stessa cosa possiamo dire pensando alle fotografie, che mostrano un desiderio di andare a cercare le situazioni, se vuoi anche estreme, o di fermare quelle casuali, come trovarsi sotto il cartello di una città passandoci in macchina involontariamente. Il caso, o meglio la cultura, ha portato Szymborska nella città di Limerick, in Irlanda, dove si è fatta fotografare sotto il cartello di ingresso. La città è il luogo dove nasce il genere di poesie scherzose, chiamate appunto Limerick, che Szymborska utilizzava molto: anche qui, caso che diventa destino.
Direi che la fotografia, il cinema, la pittura, certa pittura soprattutto come abbiamo detto, e l’idea surrealistica del caso, del sogno e della ricomposizione della realtà sono elementi fondanti sia della poesia che dei collage di Szymborska.
GF: Nella sede di Marco Polo di Sapienza, il progetto “Scrittrici come ossigeno” ha coinvolto cinque artiste donne per realizzare cinque murales di altrettante artiste donne, ed è interessante notare come una di queste sia proprio Szymborska. Vista la presenza della mostra al MLAC sarebbe bello immaginare di completare la visita andando a vedere anche questa opera.
LM: Il murale dedicato a Szymborska, che si trova al primo piano della sede Marco Polo di Sapienza, realizzato da Alessandra Carloni, è diverso dagli altri quattro perché mentre gli altri rappresentano grandi scrittrici attraverso il ritratto (Virginia Woolf, Toni Morrison, Ingeborg Bachmann e Elsa Morante), l’opera dedicata a Wisława Szymborska è una sua rappresentazione simbolica, molto scherzosa e ironica, pienamente nello spirito di Szymborska. È piaciuto molto a Michał Rusinek che in qualche modo ne ha riconosciuto lo spirito anche nei due versi scritti al muro in polacco tratti dalla poesia Possibilità, una poesia che, fra tanti altri, piaceva moltissimo a Umberto Eco. I due versi dicono: “preferisco il ridicolo di scrivere poesia, al ridicolo di non scriverne”. Ricordo anche che Valerio Magrelli ama molto la poesia proprio per questi due versi. Quindi questo elemento dell’ironia e del ridicolo, anche di esporsi come artista, molto tipico di Szymborska che non parlava mai di sé stessa né della propria arte, che abbiamo sottolineato essere fondamento della realizzazione dei suoi collage, viene riprodotto indirettamente in questo murale di Alessandra Carloni.
GF: Si può ipotizzare che il collage fosse un modo per Szymborska anche per parlare di sé stessa e della sua arte, visto che erano una produzione personale, al contrario delle poesie che sapeva di dover destinare alla pubblicazione?
LM: Questo di sicuro! Innanzitutto esponeva la propria intelligenza, brillante, scherzosa, ironica ma anche profonda attraverso l’immagine immediata del “ritaglino”. Penso che lei si riuscisse a scoprire proprio con gli amici, e questi esercizi artistici anche estemporanei, indirizzati alle persone care, sono quindi un modo di parlare di sé stessa. Il fatto che, inizialmente, alcuni dei collage ora in mostra al MLAC erano indirizzati a Edward Balcerzan, che è un grande professore e teorico della letteratura di Poznań, o a Jarek Mikołajewski, che è un altro poeta, scrittore, traduttore della Divina Commedia in polacco, oggi non ha più importanza.
L’importante è che attraverso questi collage Szymborska ci parla un po’ di sé stessa e scopriamo una donna estremamente intelligente, brillante e scherzosa, ma anche malinconica e profonda.